Terapie estreme: quali sono i trattamenti più al limite? Possono davvero far bene?

Sembra assurdo stare seminudi sotto zero, avvolti dalle fiamme o essere “mangiati” da dei pesci per stare meglio, ma ci sono davvero delle terapie che consistono nello stare in situazioni estreme. Ma quali sono?

Il freddo

In molti avranno sentito parlare di crioterapia, ossia un trattamento che consiste nello stare in una sauna con aria fredda per circa tre minuti, a meno di 130°. Tale trattamento, dovrebbe giovare alle infiammazioni oppure nella riabilitazioni dopo aver subito degli infortuni. Un tale trattamento presenta delle controindicazioni, ed è sconsigliato a chi soffre di una ipersensibilità al freddo, di arteopatia o della mattia di Raynaud (una patologia che altera la circolazione del sangue).

Questa non è tuttavia, l’unica cura inerente al freddo. Un giornalista investigativo, Scott Carney, si era convertito ai benefici del freddo e ha finito per scalare il Kilimangiaro in costume da bagno, nel 2014. Una tale “prodezza” doveva aiutare il corpo a potenziare le proprie difese naturali. Questo metodo estremo, ispirato a quello di Wim Hof, è stato soggetto di studio di una università olandese, che hanno somministrato delle tossine batteriche a due gruppi di volontari, e coloro che praticavano esercizi di respirazione nell’acqua gelida avevano meno sintomo rispetto a quelli che non lo facevano.

Altra pratica estrema, messa a punto dai buddhisti tibetani, è il Tummo, una tecnica yoga che va praticata a temperature fredde ed avvolti in asciugamani bagnati. Una neuroscienziata che ha studiato questa tecnica in un monastero tibetano, in un suo articolo ha sottolineato che essa potrebbe aiutare ad adattarsi agli ambienti freddi, aumentando le resistenza a delle infezioni.

Altre terapie

Così come c’è una terapia del freddo, esiste anche una del fuoco. Ce ne sono diverse ed una messa a punta dai cinesi consiste nell’applicare sulla pelle un cataplasma di erbe mediche, coperto da un asciugamano impregnato di alcool, a cui viene dato fuoco, ma si spegne prima che possa provocare ustioni. In teoria, questa terapia dovrebbe favorire la remissione di varie patologie, ma non ci sono studi che lo dimostrano.

Non meno caldo è il trattamento con la sabbia infuocata. A proporre un trattamento del genero è l’oasi di Siwa, in Egitto: gli abitanti del posto credono che seppellirsi nudi nella sabbia del deserto sia in grado di guarire vari disturbi, dall’impotenza ai dolori reumatici. Certo, la sabbia viene usata anche in terapie occidentali, ma mai a tali estremi, e sono comunque sconsigliate a cardiopatici o ipertesi.

Un metodo estremo per eliminare la pelle morta, è quella di farla mangiare da un pesce chiamato Garra rufa, che vive nelle acque dolci del Medio Oriente, noto anche come “pesce dottore”. Esso viene usato sia per rimuovere la pelle morta durante dei pedicure, che da medici per ablazioni di tipo paramedico, come psoriasi o dermatiti. Certo, non sarebbe la prima scelta di un medico, un trattamento con questo pesce, ma migliora l’aspetto della pelle e sembra efficace.

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